Cibo per l’anima – La speranza con cui entrare nel 2022
«Anno: Periodo fatto di 365 delusioni». Così recita la voce ‘Anno’ nel sarcastico Dizionario del diavolo, opera di uno scrittore, giornalista e vagabondo statunitense, Ambrose Bierce di cui si ignora con precisione la data della sua scomparsa. La frase è ovviamente provocatoria ed è un invito a inoltrarci sul terreno sassoso dei giorni e delle opere con uno sguardo meno trasognato e con progetti più realistici. Detto questo, guai però a seguire una deriva pessimistica, alimentata anche dalla marcia incessante della pandemia e dalle crisi sociali. Infatti, quando la bufera si sarà placata, non sapremo come siamo riusciti ad attraversarla e neppure se sia cessata davvero. Ci sarà, comunque, una certezza: usciti da quella tempesta, non saremo più gli stessi di quando vi siamo entrati. Guai, allora, a estinguere dal cuore ogni desiderio e attesa, a spegnere ogni sogno: si perderebbe la voglia di vivere e si strapperebbe dall’anima il seme della felicità.
Ma a scavare in profondità nella società, si osserva invece come si allarghi l’area dell’indifferenza rassegnata, riguardo alla quale papa Francesco ha coniato il folgorante motto della «globalizzazione dell’indifferenza».
Nonostante questo, dobbiamo ripeterci che è possibile far crescere e far germogliare sotto questo cielo un seme: la speranza. Era stato Cristo stesso a ricorrere a quell’immagine vegetale per descrivere il regno di Dio da lui inaugurato: «Il seme germoglia e cresce… Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga» (Marco 4,27-28).
Scriveva un famoso teologo, Jürgen Moltmann: «Chi spera in Cristo non può accontentarsi della realtà data, ma comincia a soffrirne e a contraddirla. La speranza spinge l’uomo al rifiuto di accontentarsi », contestando l’acquiescenza al male e all’ingiustizia.
Il cristiano, pur ammirando Ulisse che insegue la patria perduta nell’orizzonte del passato, si unisce alla tribù pellegrina di Abramo che «partì senza sapere dove andava», perché non aveva «quaggiù una città stabile ma andava in cerca di quella futura» (Ebrei 11,8; 13,14), le cui fondamenta vengono però erette già nel terreno dei giorni e delle opere presenti, anche dell’anno che è appena iniziato.
Leggi tutta la lettera del card. Ravasi, Avvenire 2 gen. 2022