Dalla lettera dell’Abate Generale dei Cistercensi per il tempo di epidemia
Roma, 15 marzo 2020
Fermatevi!
Carissimi,
Che giovamento siamo chiamati a offrire noi cristiani a tutta l’umanità in questo preciso momento?
Forse il nostro primo compito è quello di vivere questa circostanza dandole un senso. In fondo, il vero dramma che vive attualmente la società non è tanto o solo la pandemia, ma le sue conseguenze nella nostra esistenza quotidiana. Il mondo si è fermato. Le attività, l’economia, la vita politica, i viaggi, i divertimenti, lo sport si sono fermati, come per una Quaresima universale. Ma non solo questo: in Italia e ora anche in altri paesi, si è fermata anche la vita religiosa pubblica, la celebrazione pubblica dell’Eucaristia, tutti i raduni e gli incontri ecclesiali, per lo meno quelli in cui i fedeli si incontrano fisicamente. È come un grande digiuno, una grande astinenza universale.
Questo arresto imposto dal contagio e dalle autorità è presentato e vissuto come un male necessario. L’uomo contemporaneo, infatti, non sa più fermarsi. Si ferma solo se è fermato. Fermarsi liberamente è diventato quasi impossibile nella cultura occidentale odierna, peraltro globalizzata. Neppure per le vacanze ci si ferma veramente. Solo i contrattempi spiacevoli riescono a fermarci nella nostra corsa affannosa per approfittare sempre più della vita, del tempo, spesso anche delle altre persone. Ora, però, un contrattempo sgradevole come un’epidemia ci ha fermati quasi tutti. I nostri progetti e i nostri piani sono stati annullati, e non sappiamo fino a quando […]
Nel Salmo 45, Dio ci invita a fermarci per riconoscere la sua presenza in mezzo a noi:
“Fermatevi!
Sappiate che io sono Dio, eccelso tra le genti, eccelso sulla terra.
Il Signore degli eserciti è con noi,
nostro baluardo è il Dio di Giacobbe.” (Sal 45,11-12)
Dio ci chiede di fermarci; non ce lo impone. Vuole che di fronte a Lui ci fermiamo e rimaniamo liberamente, per scelta, cioè con amore. Non ci ferma come la polizia che arresta un delinquente in fuga. Vuole che ci fermiamo come ci si ferma davanti alla persona amata, o come ci si ferma di fronte alla tenera bellezza di un neonato che dorme, o a un tramonto o a un’opera d’arte che ci riempiono di stupore e silenzio. Dio ci chiede di fermarci riconoscendo che la sua presenza per noi riempie tutto l’universo, è la cosa più importante della vita, che nulla può superare. Fermarci di fronte a Dio significa riconoscere che la sua presenza riempie l’istante e quindi soddisfa pienamente il nostro cuore, in qualsiasi circostanza e condizione ci troviamo.
Cosa significa questo nella situazione attuale? Che possiamo viverla con libertà, anche se costretti. La libertà non è scegliere sempre e comunque quello che si vuole. La libertà è la grazia di poter scegliere ciò che dà pienezza al nostro cuore anche quando ci è tolto tutto […].
Riconoscere in questa circostanza una possibilità straordinaria di accogliere e adorare la presenza di Dio in mezzo a noi non vuol dire fuggire la realtà e rinunciare ai mezzi umani che si mettono in atto per difenderci dal male. Questo sarebbe un’ingiuria a chi ora, come tutto il personale sanitario, si sacrifica per il nostro bene. Sarebbe anche blasfemo pensare che Dio ci manda Lui le prove per poi mostrarci quanto è buono nel liberarcene. Dio entra nelle nostre prove, le soffre con noi e per noi fino alla morte in Croce. Ci rivela così che la nostra vita, nella prova come nella consolazione, ha un senso infinitamente più grande che la risoluzione dell’attuale pericolo. Il vero pericolo che incombe sulla vita non è la minaccia della morte, ma la possibilità di vivere senza senso, di vivere senza essere tesi ad una pienezza più grande della vita e ad una salvezza più grande della salute.
Questa pandemia, con tutti i corollari e le conseguenze che comporta, è allora per tutti un’occasione di fermarci davvero, non solo perché costretti, ma perché siamo invitati dal Signore a stare davanti a Lui, a riconoscere che Lui, proprio ora, ci viene incontro in mezzo alla tempesta delle circostanze e delle nostre angosce, proponendoci un rinnovato rapporto di amicizia con Lui, con Lui che è senz’altro capace di arrestare la pandemia come ha calmato il vento, ma che soprattutto ci rinnova il dono della sua presenza amica, che sconfigge la nostra fragilità piena di timore – “Coraggio, sono io, non abbiate paura!” – e ci vuole condurre subito al destino ultimo e pieno dell’esistenza: Lui stesso che rimane e cammina con noi […].
La prova che viene a tormentarci deve anche renderci più sensibili alle tante prove che colpiscono gli altri, gli altri popoli, che spesso guardiamo soffrire e morire con indifferenza. Ci ricordiamo, per esempio, che mentre da noi infierisce il coronavirus, i popoli del Corno d’Africa subiscono da mesi un’invasione di locuste che minaccia la sussistenza di milioni di persone? Ci ricordiamo dei migranti sospesi in Turchia? Ci ricordiamo della ferita sempre aperta in Siria e tutto il Medio Oriente? …
Un periodo di prova può rendere le persone più dure o più sensibili, più indifferenti o più compassionevoli. In fondo, tutto dipende dall’amore con cui le viviamo, ed è soprattutto questo che Cristo viene a donarci e a destare in noi con la sua presenza […]
C’è però un compito che siamo chiamati ad assumere in modo specifico: l’offerta della preghiera. Per questo Gesù Cristo ci dona lo Spirito che, “con gemiti inesprimibili”, “viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente” (Rm 8,26) […]
Anche il bisogno di salvaguardare o recuperare la salute, che tutti sentono in questo momento, magari con angoscia, è un bisogno di salvezza, della salvezza che preservi la nostra vita dal sentirsi senza senso, sballottata dalle onde senza un destino, senza l’incontro con l’Amore, cioè Dio.
Questa coscienza del nostro compito di preghiera per tutti deve renderci universalmente responsabili della fede che abbiamo, e della preghiera liturgica che la Chiesa ci affida […].
Nel Salve Regina chiediamo su tutta la “valle di lacrime” del mondo, e su tutti gli “esuli figli di Eva”, la luce dolce e consolante degli “occhi misericordiosi” della Regina e Madre di Misericordia, affinché in ogni circostanza, in ogni notte e pericolo, lo sguardo di Maria ci mostri Gesù, ci mostri che Gesù è presente, che ci conforta, che ci guarisce e ci salva.
Tutta la nostra vocazione e missione è descritta in questa preghiera.
Che Maria, “vita, dolcezza e speranza nostra”, ci doni di vivere questa vocazione con umiltà e coraggio, offrendo la nostra vita per la pace e gioia di tutta l’umanità!
(Fr. Mauro Giuseppe Lepori, Ordine dei Cistercensi)