Intervista a don Massimo
Nome e cognome: Massimo Frigerio
Nato nel Dicembre del 1937, a Saronno
Dove ha vissuto?
Ho sempre vissuto a Saronno con la mia famiglia fino a 14 anni. Eravamo 5 sorelle e 2 fratelli; il papà lavorava nel mulino dove ha iniziato da giovane come garzone, per poi diventare capo mugnaio, mentre la mamma era casalinga perché aveva 7 figli da curare. Ho iniziato la scuola studiando nel collegio vescovile di Saronno e a 14 anni sono andato a fare la quarta Ginnasio nel Seminario di Seveso e successivamente nel seminario di Venegono, dove ho fatto i 3 anni di Liceo Classico e 4 anni di Teologia.
Quando ha sentito di voler dedicare tutta la sua vita a Gesù?
Ho fatto le scuole medie nel collegio vescovile, dove c’erano i preti e poi andavo in oratorio dove c’erano tanti seminaristi (erano 15 in totale, di tutte le età): a un certo punto ho detto “Voglio fare anche io il prete”.
Poi ho riflettuto più seriamente: si riflette, ci si confronta, ci si confessa magari con lo stesso prete che ti può aiutare.
Mi hanno poi portato in seminario a Seveso, dove ho fatto un esame per essere ammesso. Lì l’idea di farmi prete si è consolidata anche con l’aiuto dei superiori che ti supportano nell’andare avanti.
Quando è stato consacrato prete?
Il 28 giugno 1961
Cosa avrebbe fatto nella vita se non avesse scelto di fare il prete?
Non so. Forse il ragioniere come mio fratello maggiore.
Ha anche incontrato qualche difficoltà nella sua vita?
Le difficoltà sono sempre quelle di tutti, di capire se sei all’altezza, se vai bene per fare il prete, ma nel superare queste difficoltà abbiamo il sostegno dagli educatori del seminario, come i professori o i responsabili, il padre spirituale che ti guida la coscienza, ti consigliava personalmente e il rettore, che aveva una responsabilità disciplinare, di dirigere i comportamenti esteriori, di verificare se eri gentile o prepotente. In seminario si poneva particolare attenzione a questo: di ogni alunno si faceva “la condotta”, ossia di ogni alunno tutte le settimane il rettore scriveva delle note, cose semplici, ma pedagogicamente importanti perché si teneva la storia evolutiva della persona e alla fine dell’anno la si ripercorreva. La persona veniva veramente aiutata, anche perché gli si davano degli incarichi per aiutarlo a smussare gli aspetti negativi o a rafforzare gli aspetti deboli della sua personalità.
Cosa ha fatto prima di arrivare a Canegrate?
Conclusi gli studi dal 1961 al 1969 sono rimasto per 9 anni nel seminario minore di Seveso a fare il vicerettore. Allora c’erano 500 seminaristi, mentre oggi il seminario e il Liceo sono stati chiusi.
Il seminario era (ed è) organizzato con degli “assistenti delle classi”: ogni classe del seminario minore, costituita da circa 25-30 ragazzi; ha un Prefetto, una sorta di assistente, che è uno studente avanti con gli studi, quasi prete ormai. Durante gli studi sono stato Prefetto per 3 anni: organizzavo la classe, facevo giocare i ragazzi, li portavo a sciare. Poi per 9 anni sono stato vice-rettore, coordinavo cioè un gruppo di classi: al primo incarico avevo circa 150 ragazzi di terza media, cioè 6 classi, ognuna delle quali aveva un proprio Prefetto.
Avendo fatto questa esperienza, l’arcivescovo mi ha incaricato di fare il Rettore, prima nel seminario più piccolo di Masnago, poi a Seveso, dal 1976 fino al 1984: ero lì quando è scoppiato il caso della diossina. In totale, sono stato in seminario per 23 anni.
Nel 1984 sono stato mandato a Malnate, vicino a Varese, a fare il parroco, dove mi sono fermato per 11 anni, per poi essere inviato a fare il parroco a Valmadrera, sul lago di Lecco, dove sono rimasto 18 anni, fino al 2014, quando sono venuto qui a Canegrate a fare il residente con incarichi pastorali.
Infatti a 75 anni i parroci devono dare le dimissioni, ossia devono scrivere una lettera da consegnare al Vescovo, che decide se accettarla o no. Le mie dimissioni sono state accolte due anni dopo, per cui compiuti i 77 anni ho lasciato la parrocchia.
Ma come sono organizzati i Seminari?
Ai tempi c’era il seminario minore, che andava dalla prima media fino alla terza Liceo, copriva quindi tutto il ciclo di studi. Minore perché c’era una selezione tra gli studenti per diventare prete, in base agli studi e al comportamento: c’era la possibilità di capire cosa vuol dire fare il prete e chi si è, cioè se davvero si vuole diventare preti o no. C’era un controllo molto rigido e riuscivano a passare meno del 20%. Molti si fermavano alla fine della terza media, o alla fine del Liceo. Chi era più convinto andava avanti e dal Seminario passava a Teologia. Allora c’erano anche molte vocazioni; ora sono molto meno e la tendenza è quella di arrivare in seminario dopo la Laurea.
Ha accennato al corso di Teologia, in cosa consiste?
Teologia è una sorta di Laurea, anche se non viene riconosciuta. Si studia ad esempio Storia, Storia della Chiesa, Sacra Scrittura, Teologia Fondamentale (il rapporto tra fede e ragione), Patrologia (lo studio dei Padri della Chiesa), Liturgia (tutto ciò che riguarda la liturgia, l’anno liturgico e la messa), Ebraico, Greco Biblico, Teologia Morale (i Comandamenti), Omeletica (tecniche su come si scrive l’omelia, anche se poi l’arte oratoria dipende dalle capacità personali).
A proposito, come nasce un’omelia?
Io la scrivo sempre, non la studio a memoria, ma quando faccio l’omelia ho un foglio con tutti i punti per seguire il filo del discorso. A volte si è stanchi fisicamente, o dopo la terza volta che si ripete, magari diviene un po’ più faticoso rispetto alla prima, per cui ci hanno sempre insegnato a scriverla, a prepararla, non a dirla a braccio.
Il nostro professore diceva sempre che la predica è come una ballerina che va sulla fune e che potrebbe cadere: il foglio con le frasi per il prete è come la rete per la ballerina.
E ora è diventato un prete residente con incarichi pastorali: di cosa si occupa più precisamente?
Aiuto il parroco, di solito nel celebrare le messe, i funerali, nel confessare e partecipo al Consiglio Pastorale. Non ho responsabilità diretta, ma sono di supporto ai preti della parrocchia. Non ci sono impegni pressanti, per cui sono libero di leggere, di studiare, di pregare. Adesso leggo molti libri di storia, ad esempio i volumi sui diversi personaggi storici o sulla letteratura italiana. In questo momento sto leggendo la storia di don Giussani.
Come ha accolto la proposta di venire a Canegrate?
Ho risposto “Va bene”, perché qualsiasi posto andava bene. Però ero contento perché conoscevo don Gino: l’ho conosciuto quando era stato coadiutore a Saronno e perché, come rettore del seminario, si finisce per conoscere un po’ tutti i preti e anche perché avevo fatto anche l’animatore vocazionale, per cui ho conosciuto tutti i preti di una certa età.
Che cosa le piace di più della sua vita attuale?
Non avendo grandi impegni, ho del tempo libero per leggere, posso pregare, aiutare e consigliare, in particolare attraverso la confessione. Ci sono tante persone che ormai conosco, che consiglio, che guido. Questa cosa è la più gratificante, specie se ci sono delle vocazioni. Quest’anno ci sono state due prime messe nella mia parrocchia di Valmadrera, uno del Pime e uno Gesuita, che hanno iniziato il loro percorso vocazionale quando erano ragazzi: li ho aiutati e consigliati. La prima messa è stata bella: questi sono i frutti del lavoro fatto!
Ma se avesse potuto scegliere tra svolgere la sua missione in un seminario oppure in una parrocchia, cosa avrebbe preferito fare?
Avrei preferito andare in parrocchia, perché quando si vuole diventare prete l’idea è sempre quella di andare in parrocchia, di divenire coadiutore, o vicario, come viene definito adesso.
Ai tempi però c’era bisogno in Seminario: eravamo 37 preti a dirigerlo, tra vice-rettori e insegnanti.
Alla fine poi si accetta la chiamata: l’ho fatto anche volentieri, perché il seminario è un ambiente fervido culturalmente. Erano gli anni del Concilio, per cui ci sono stati dibattiti molto interessanti e scambi di idee. Si cercava di leggere tutto ciò che si poteva, per essere ben informati.
Uno degli aspetti positivi del seminario era infatti la formazione permanente, la lettura e lo studio, attraverso il confronto, l’ascolto e la comprensione.
Cambiamo argomento e torniamo a lei: un aspetto positivo del suo carattere?
Sono tranquillo, non ho ansie: quello che posso fare, lo faccio; quello che non posso fare non lo faccio
Un aspetto negativo?
Mi piacerebbe essere più brillante, ma mi devo accontentare.
Il suo piatto preferito?
Pasta al pomodoro
La sua bevanda preferita?
Mezzo bicchiere di vino al pasto; non posso più bere le bibite gasate, che mi piacevano.
Che cosa apprezza di più nelle persone?
La semplicità, l’umiltà.
Che cosa apprezza di meno nelle persone?
Quando viene detto “Io …; io ho detto …; io ho fatto …”.
Il suo motto?
Un uomo che fa quel che può, dà qual che ha e dice quello che sa è un uomo da rispettare.