Intervista a Suor Beatriz

“Sicura, nell’insicurezza”

 

Carta di identità:

Nome: Beatriz de Giovanni Paolo ll Esponda Lomelì
Nata il: 5 gennaio 1976
Località: Lo Cabos San Lucas, nella penisola messicana di Bassa California

Mappa politica del Messico – fonte: Wikipedia

 

 

La vita di suor Beatriz prima di diventare Suora

Sono la terza di otto figli. Essendo una famiglia numerosa e molto unita, la mamma è sempre stata a casa ad accudirci, mentre il papà era sempre al lavoro per mantenerci. È stata la mamma che ci invitava ad andare in chiesa e a prendere i sacramenti. Il papà ci veniva soltanto quando c’erano delle celebrazioni importanti.
Pensa, dal momento che la mamma è molto credente e non si sarebbe sposata se non in Chiesa, mio papà ha preso tutti i sacramenti, il battesimo, la comunione, la cresima, lo stesso giorno in cui si è sposato con lei. Gli hanno dato un librettino da imparare tutto a memoria per ricevere i sacramenti e potersi sposare. Le voleva proprio bene, se ha fatto così!

Io ho seguito le orme di mio padre: dopo la cresima non sono più andata in chiesa, se non per le occasioni speciali, come battesimi, comunioni e cresime, per cui a casa nessuno si immaginava che diventassi suora. Neanch’io, perché ho avuto una vocazione tardiva: sono andata in convento a 24 anni, proprio quando ho finito il percorso di studi e preso la Laurea in Pedagogia.

Lo Cabos San Lucas – photo credits: Needpix

Cosa avresti fatto se non fossi diventata suora?

Avrei lavorato con i bambini. Anche quando studiavo, lavoravo con i bambini della strada in un programma di prevenzione. In Bassa California del Sud arrivano tanti Americani e tante persone da Città del Messico a cercare lavoro e molti bambini per strada vendevano delle cicche o dei fiori agli americani per guadagnare qualche soldino. Allora noi facevamo un lavoro di protezione di questi bambini. Mi piaceva l’idea di aiutare, di fare qualcosa per gli altri, ma non avrei mai pensato di andare in convento.
Ho avuto anche tre fidanzati, ma non ero così innamorata, per cui pensavo “se arriva qualcuno mi sposo”, ma non è arrivato.

 

La vocazione

Nel Gennaio del 1999 mia sorella Claudia, molto più credente di me, voleva andare a Città del Messico a vedere Giovanni Paolo II, ma non aveva il permesso dal papà per andarci da sola, per cui l’ho dovuta accompagnare a vedere quello che allora ritenevo fosse solo “un vecchietto”.
Invece le sue parole pronunciate all’incontro con i giovani che

invitava a non avete paura a provare le cose della Chiesa, gli insegnamenti di Dio, e poi a scegliere, perché non si perde niente, quelle sono state le parole che mi sono rimaste dentro.

E quando sono tornata a casa, dopo un po’, ho detto “io provo”.
Ho iniziato così ad andare a messa, ma non nella mia parrocchia: volevo andarci, ma non volevo che gli altri lo sapessero. Neanche i miei amici. Non sapevo ancora che dentro di me stava nascendo questa vocazione.
E intanto continuavo a fare la mia vita: mi è sempre piaciuto molto andare in discoteca, al mare con le amiche o con la compagnia.

Lo Cabos San Lucas – photo credits: Jeff Gunn

Questo fino a giugno, quando una delle mie consorelle mi ha invitato ad andare alla festa di compleanno di una delle suore: lì ho chiesto ad un’altra consorella come si entra in convento e se avrei potuto fare anch’io un’esperienza di vita in comunità.
Dovendomi spostare alla Casa Madre a Veracruz l’ho detto ai miei genitori: io ero più che sicura che non sarei più ritornata, mentre tutta la mia famiglia pensava che sarei tornata a casa poco tempo dopo. Invece non sono più tornata.
Ho trovato delle difficoltà il primo anno, perché ero ormai 24enne, con la mia personalità e la mia indipendenza. Invece in convento devi chiedere permesso per tutto, anche per avere il sapone. Inoltre avevo tanti dubbi in merito alla fede, perché non avendo fatto nessun cammino di catechesi nella mia giovinezza e non conoscendo neanche il Vangelo facevo fatica a inserirmi e facevo tante domande, perché volevo sapere tutto; “Fai troppe domande”, mi dicevano “devi avere pazienza”.

Alla fine del primo anno, io ero convinta di continuare e iniziare il noviziato, mentre una maestra diceva che non ero adatta e l’altra invece diceva di sì. Grazie a Dio un sabato è venuta la Madre Generale e mi ha consigliata di tornare a casa un mese, di stare con la famiglia, gli amici per valutare la differenza di vita per poi compiere la mia scelta, se passare all’altra tappa o se rimanere a casa definitivamente. Ho dovuto scegliere io, non le mie consorelle o la Made Generale, perché ormai ero grande.
Sono tornata a casa un mese e poi sono ritornata alla Casa Madre.

Ho preso i voti solenni il 24 luglio 2009. Come suore non cambiamo il nome quando facciamo i primi voti o i voti solenni, ma ne aggiungiamo uno, che ricorda un Santo o qualcosa della vita di Gesù, o che aiuta noi a ricordare come abbiamo scoperto la nostra vocazione.
Io ho scelto Giovanni Paolo II, perché mi ha detto di provare, di non avere paura. Così ho fatto: ho provato e mi sono trovata bene, mi sono sentita sicura nell’insicurezza, dal momento che è un qualcosa che non conoscevo.

Dopo i voti poi mi hanno mandata a Roma, nella parrocchia di San Paolo Fuori le Mura, a studiare per tre anni Scienze religiose e Filosofia.

Sono stata poi a Villa Cortese per 10 anni e avevo chiesto di tornare a casa. Prima mi hanno detto di sì, ma qualche mese prima di partire mi hanno chiesto di restare ancora un paio di anni e mi hanno mandato qui a Canegrate.

 

 

Com’è stato vivere in Italia?

I primi anni sono stati difficoltosi: sei in un altro mondo, c’è un’altra lingua, un’altra cultura. A causa della diversità della lingua ti senti muta.
Io ringrazio davvero a Dio perché mi ha aperto la mente e gli occhi, mi ha fornito un’altra visione, mi ha aperto tanti orizzonti. Perché nel tuo Paese ti chiudi in te stesso, nel tuo contesto. In Messico lavoriamo davvero molto con i poveri, perché c’è tanta povertà e mancano i sacerdoti, per cui c’è tanto lavoro concreto da fare e si è meno orientati all’aspetto spirituale, invece molto presente qui e che emerge anche nelle omelie. Questo mi mancherà, però io vi seguirò!
Qui sono cresciuta molto per la spiritualità, che è molto più forte.
Anche la chiesa e l’oratorio, qui nella zona di Milano, sono organizzati meglio e questo me lo porto come insegnamento prezioso da applicare anche in Messico.

L’oratorio in Messico non è strutturato come in Italia: i bambini fanno il percorso catechistico, ma non c’è niente per i ragazzi dopo, neanche in estate. Alla domenica vanno a messa, ma poi non ci sono ulteriori proposte.

Ora torno in Messico e andrò a San José del Cabo, sempre nella Baja California del Sud, ma non so ancora cosa andrò a fare.

Aerial view of San Jose del Cabo

San José del Cabo – fonte: Wikimedia

Cosa ti porti a casa dall’esperienza italiana?

Mi porto a casa il ricordo delle persone, anche se all’inizio sono state un po’ fredde. In Messico siamo più calorosi, ci salutiamo tanto e quando ci parliamo siamo più espansivi. Mi porto tanti bei ricordi, l’apertura mentale che ho imparato qui. Mi porto a casa le tante persone che mi hanno aiutato a vivere, tanto la mia vita consacrata come quella privata. Mi porterò nel cuore tutte le mie consorelle, con cui ho condiviso la vita qua. Confesso che un po’ mi pesa l’idea di lasciarle, perché non ho più rapporti con nessuna suora là, per cui devo iniziare proprio da zero.
Però abbiamo scelto questa vita e siamo consapevoli che ci fa male, ma ci fa anche bene allo stesso tempo, perché andrò in un’altra comunità a cui devo voler bene.

Canegrate, non mi è costato davvero niente: mi avete subito accolta calorosamente, mi sono sentita a casa.

Mi dispiace di essermi fermata poco tempo, ma questo trasferimento è stato un regalo per me, che volevo tornare a casa per stare accanto a mio papà che non sta bene.

 

Suor Beatriz, svelaci una cosa: qual è il segreto del tuo sorriso?

Non lo so neanche io, … non saprei dire. Mi dice sempre la mamma che quando sono nata non ho pianto, ma ho sorriso e anche quando c’era da piangere, sorridevo. Sono sempre stata solare.
È un dono che Dio mi ha regalato e allora lo non metto in pratica. Però mi emoziono anche tanto e piango molto in queste occasioni.

 

Cosa vorresti lasciare come testimonianza alla comunità di Canegrate?

Spero di cuore di aver condiviso qualcosa della mia fede, della fede in Cristo, in Gesù, la Madonna, nella Chiesa.

E a chi invece crede poco o non va a la messa, che cosa consigli?

Il Signore ha il suo tempo: uno non deve affrettarsi, Lui sa quando è l’ora e ci chiama a uno a uno.
Occorre solo aspettare. Dico questo in base alla mia esperienza: non sono più andata a messa dopo la Cresima, se non in occasioni particolari, ma mi ha chiamata ugualmente a 24 anni.
E noi possiamo aiutarLo con la nostra vita, la nostra testimonianza, con la nostra gioia e il nostro comportamento. Perché ci sono tante persone che non frequentano la Chiesa che fanno più bene di tanti che ci vanno. E questo fa male, perché mi chiedo “Chi siamo? Cosa stiamo trasmettendo alle nuove generazioni?”. Riconosco quindi il bene che fanno le persone fuori dalla Chiesa, ma anche a loro manca un pezzettino, così come noi che siamo dentro che potremmo dare di più e non lo diamo.

 

Grazie di cuore, suor Beatriz, per essere stata tra noi!