La suora missionaria con la chitarra in mano: suor Maria
Nome e Cognome:
Suor Maria Del Sagrario Garcia Ceballos
Nata il:
1° dicembre 1968
Località:
La Joya, nello stato del Veracruz, una regione che si affaccia sulla baia di Campeche, un’ampia insenatura del Golfo del Messico.
Suor Maria, raccontaci della tua giovinezza
Sono nata in un paese di montagna a 1.620 metri sul livello del mare, La Joya. È una bellissima zona, dove c’è di tutto, dalla montagna al mare, passando attraverso un territorio desertico.
L’immagine di casa è quella della domenica con i vestiti per noi bambini ben allineati insieme alle scarpe, in ordine, pronti per essere indossati: tre vestiti maschili seguiti dal vestitino bianco con le scarpine abbinate per me. Andavamo tutti insieme a messa: io tenevo sempre per mano il papà, mentre i fratelli stavano con la mamma.
Il papà era molto credente, avendo fatto le elementari in seminario, ma si è accorto che non era la sua strada.
La mamma, invece, è cresciuta in montagna, in un paesino ancora più in quota e isolato del nostro, dove non c’era né la chiesa né la scuola. Per questo ha imparato a leggere e a scrivere solo a 40 anni, quando mio fratello le ha fatto da tutore. È grazie al papà che ha iniziato a frequentare la chiesa e quando ha conosciuto un gruppo di laici francescani, che pregavano e visitavano i malati, ha iniziato a seguirli in queste opere di carità.
Quando hai deciso di diventare suora?
A 9 anni, in preparazione alla Pasqua: due missionari della Guadalupana ci hanno chiesto di scrivere su un quaderno cosa avremmo voluto fare da grandi. Io ho scritto “Suora”. Ho però dovuto attendere di aver concluso il ciclo di studi per entrare in convento.
La scelta della comunità è stata casuale: un’amica aveva una sorella suora e mi ha fornito l’indirizzo delle Suore Missionarie del Sacro Cuore di Gesù di Xalapa. Mi è piaciuto l’ambiente e mi sono fermata qui.
Come hanno accolto i tuoi genitori la scelta di diventare suora?
All’inizio mia mamma pensava che volessi andare in convento solo per studiare. Dal momento che avevano fatto così altri parenti, si aspettava che poi sarei tornata a casa finita la scuola. Invece no: avevo scelto una comunità per diventare missionaria.
Era il 1981 e avevo 12 anni.
Ho iniziato il noviziato a 15 anni e a 17 ho preso i primi voti, con un permesso speciale del Vescovo che mi conosceva ormai da 5 anni, perché la Chiesa proprio quell’anno aveva innalzato a 18 anni l’età minima per prendere i voti.
Hai mai avuto dubbi sulla tua scelta vocazionale?
Dubbi no, ma, come tutti, ho vissuto qualche crisi vocazionale, che è passata.
Di quali attività ti occupavi in Messico?
La nostra comunità è sempre stata povera, per cui, essendo in tanti, dovevamo raccogliere fondi per sostenerci: cucinavamo e poi, porta a porta, vendevamo biscotti, torte e il Rompope, una bevanda tradizionale a base di latte e uova, tipica del periodo natalizio e molto apprezzata.
Poi mi occupavo anche delle attività della comunità, come le preghiere, la messa, che animavo con la mia chitarra, e il canto. Ho organizzato anche un coretto. Mi è sempre piaciuta la musica. A casa avevamo una chitarra che il papà aveva procurato per mio fratello, ma non avendola lui mai usata, ho avuto il permesso di prendere lezioni da un parente: la suono da quando avevo 11 anni.
In Messico mi hanno destinata ad alcune parrocchie: sono stata a Xalapa, prima nella Parrocchia di Maria Madre e poi in quella della Resurrezione, dove ho incontrato una ragazza che voleva entrare in convento e che 4 anni fa, guarda caso, è divenuta la mia Superiora Generale.
Poi sono stata inviata a Durango, una comunità difficile a causa dei cartelli della droga presenti nel nord del Paese. Qui c’è una cultura che è stata influenzata molto dagli USA, per cui festeggiano Halloween, anziché El Día de los Muertos che invece rientra nella tradizione messicana. Le persone sono migrate da questa zona in America per lavorare, per poi tornare a casa con i dollari in tasca e con un potere d’acquisto superiore a chi ha vissuto e lavorato in Messico. Questo ha portato anche molta criminalità e violenza. La fede qui però è fortissima: una giovane proveniente da questo paesino ha deciso di farsi suora e ora è qui in Italia in missione a San Giorgio, suor Hilda.
Nelle parrocchie mi sono sempre occupata della Pastorale Familiare, dei corsi per i fidanzati, dei cori, dei bambini e dei giovani, e della catechesi dei bambini. Qui il catechismo dura sei anni: diversamente da quel che avviene in Italia, al 5° anno viene fatta la Cresima e al 6° la Prima Comunione.
Dopo l’esperienza a Durango, sono stata inviata alla Casa Madre per occuparmi della Pastorale Vocazionale, come promotrice, organizzando giornate vocazionali, ritiri e accogliendo le ragazze che volevano entrare nella nostra Comunità. Ho girato tutte le case della nostra congregazione.
Forte di questa esperienza, sono stata mandata al Santuario di Guadalupe per occuparmi sia della catechesi, sia dell’accoglienza dei pellegrini. È un santuario molto visitato, per cui occorre occuparsi degli ospiti, organizzare i pasti, il pernottamento e gestire i volontari che si occupano della cucina e delle pulizie. Inoltre, il 12 dicembre c’è la festa della Madonna di Guadalupe, per cui occorre organizzare la festa e i diversi servizi, Croce Rossa compresa, perché il Santuario è meta di tantissime persone.
Con il Covid, e la morte del parroco a causa di questa epidemia, la Madre Superiora ha deciso di cambiare nuovamente la mia destinazione.
Qual era la tua nuova missione?
In Italia. Sono rimasta sorpresa quando mi ha detto che sarei venuta qui: ormai pensavo che sarei rimasta per sempre in Messico, dal momento che venivano mandate in missione solo le suore più giovani di me.
Una decisione così mette un po’ in crisi, ma ho dovuto accettare la scelta e ho avuto fiducia nel Signore, a cui ho chiesto la forza di portare avanti questo nuovo incarico.
Tre anni fa sono quindi arrivata a San Giorgio su Legnano, dove ho dovuto imparato tutto di nuovo: la liturgia con il rito ambrosiano, quello che dovevo fare in oratorio e all’asilo, strutture che non esistono in Messico, e anche l’Italiano. Ho dovuto resettare tutto quanto avevo fatto in questi 40 anni di servizio in Messico; è stato un cambiamento radicale.
Non mi sono fermata lì, però: dopo due anni sono stata mandata a Roma per un paio di mesi per aiutare una suora che aveva avuto un incidente, per cui non poteva più occuparsi degli ospiti del Collegium Lateranense «Beato Giovanni XXIII», preti provenienti da ogni parte del mondo.
Ritornata a San Giorgio, dopo poco tempo sono stata mandata a Cernusco sul Naviglio a dare una mano a una suora malata. Ma la Madre Generale mi aveva già prospettato un altro incarico più importante: divenire Madre Superiora qui a Canegrate.
Mi è stato detto che avevi già conosciuto parte della comunità di Canegrate in passato, dove?
Al campeggio.
Suor Lucy mi ha dato tutte le informazioni sul campeggio dei ragazzi, ma poi sono andata anche al campeggio delle famiglie, una bellissima esperienza, diversa da quella dei ragazzi, molto più rilassante. Mi piace Ceresole Reale, così come le camminate in montagna.
Un’ultima domanda: qual è il tuo motto?
Quello che ha anche usato l’Arcivescovo Delpini per l’Anno Pastorale 2024-2025:
“MI BASTA LA TUA GRAZIA”
Cosa vorresti aggiungere a questa intervista?
Essere suora è una grazia di Dio e rispondere alla sua chiamata rende felice: dare la propria vita per gli altri dà un senso alla propria.